Come pota?

In questa stagione, attirati dalle prime belle giornate, incomincia la tradizionale processione degli appassionati presso i loro produttori del cuore, chi in cerca delle prime bottiglie di bianco appena prodotte, chi del vino sfuso da imbottigliare a casa, chi semplicemente dell’occasione per fare due chiacchiere con un vecchio amico.
Questo è anche il momento ideale per curiosare tra le vigne, che sono ancora prive di chioma e presentano le gemme appena sbocciate. E facile quindi per noi osservare come sono state potate le piante, e trarre immediatamente alcune utili informazioni sul tipo di filosofia produttiva che anima il nostro amico vignaiolo. Se infatti non è garantito che una vigna ben potata produca poi vino eccellente, è invece molto difficile che ciò avvenga nel caso di una vigna potata malamente o secondo un’ottica iper produttiva. Dopo aver letto questo post, quando andrete a comperare le vostre bottiglie in cantina, potrete a dire al produttore: “Non è un po’ troppo lungo il tuo Guyot?”.
Innazitutto contiamo quante gemme porta ciascuna pianta; quindi stimiamo a occhio qual’è la distanza tra i filari e tra le piante di ciascun filare nella vigna. Fatto? OK! Supponiamo che tali distanze siano (circa) 2m e 1m. Moltiplichiamo 2 per 1 e otteniamo (ovviamente) 2. Dividendo 10000 per 2 otteniamo 5000 che è il numero di piante per ettaro della vigna sotto “inchiesta”. Entriamo ora un po’ più in dettaglio nella potatura.


Tra le forme di allevamento della vite, quella detta a spalliera è senza dubbio la più diffusa in ogni angolo del mondo. Secondo tale sistema la vite viene fatta crescere in filari più o meno lunghi, costituiti da pali di legno, cemento, acciaio o materiale plastico, su cui vengono fissati due o più fili di acciaio zincato posti in tensione attraverso pali più robusti posizionati alle estremità del filare. Su tali filari la vite può poi essere allevata attraverso diverse tecniche di potatura.
I sistemi di potatura della vite si possono distinguere in sistemi a potatura lunga e sistemi a potatura corta, a seconda della lunghezza dei vecchi tralci (o capi) lasciati sulla pianta e da cui nasceranno i nuovi tralci che daranno frutto. Solitamente è utile incominciare dal sistema denominato Guyot, dal nome di un maestro francese che lo mise a punto a partire dal 1868. Il sistema Guyot è di fatto un sistema misto, e quindi è utile a capire entrambe le filosofie di allevamento.
Supponiamo che in un certo momento della stagione invernale la vite si trovi nella situazione illustrata in figura 1.

Figura 1.jpg

Senza domandarci ora come è arrivata in quella forma (lo capiremo dopo), osserviamo che essa presenta un fusto, che dal piede della pianta (punto del fusto a livello del terreno) arriva in modo più o meno verticale fino al primo filo della spalliera, posto più o meno a 70 cm da terra, e due rami, uno lungo ed uno corto.
Il ramo lungo è legato sul filo e si chiama “capo a frutto”. La sua lunghezza si misura in numero di gemme. Le gemme sono posizionate su nodosità del ramo poste a distanza regolare là dove l’estate precedente spiccavano le foglie. Da ogni gemma l’estate successiva cresceranno i nuovi tralci e dai tralci i grappoli. La lunghezza del capo a frutto è funzione di alcune importanti scelte agronomiche. Si definisce “fertilità” di un vitigno il numero medio di grappoli prodotti da un tralcio nato dalla singola gemma. La fertilità è variabile in funzione del vitigno e dei diversi cloni nell’ambito dello stesso vitigno e normalmente è compresa tra 1 e 2. Siccome ogni vitigno è caratterizzato da un peso medio noto del grappolo, la lunghezza del capo a frutto in termini di numero di gemme determina la produzione/ettaro richiesta all’impianto. In realtà la situazione è più complicata in quanto questo calcolo porta ad una produttività teorica massima, generalmente superiore a quella reale a causa della riduzione dovuta agli agenti atmosferici (grandine, siccità, ecc) e alle pratiche di diradamento. Inoltre non tutte le gemme del capo a frutto hanno la stessa fertilità. In alcuni vitigni come il nebbiolo e la corvina le 2-3 gemme più vicine al fusto (gemme basali) non sono fertili e quindi producono tralci senza grappoli. Quindi la potatura dovrà essere più lunga. Per questi vitigni sono da escludere i sistemi a potatura corta (cordone speronato, alberello). Altri vitigni come il Merlot hanno una buona fertilità sia delle gemme basali sia di quelle apicali, ma se il capo a frutto è troppo lungo sono poco fertili le gemme mediane. Altri vitigni ancora hanno gemme uniformemente fertili.
Il ramo più corto si chiama “sperone” o “capo a legno” e di solito porta due gemme. Se il tipo di fertilità del vitigno lo consente, anche queste gemme possono produrre tralci con grappoli.
L’estate successiva se tutto va bene l’aspetto della nostra pianta potrebbe essere come quello rappresentato in figura 2.

Figura 2.jpg

Dopo l’autunno la nostra vite si presenta come in figura 3.

Figura 3.jpg

Al momento della successiva potatura invernale il vecchio capo a frutto verrà completamente asportato; dei due tralci nati dalle due gemme dello sperone, quello inferiore sarà potato a due gemme per generare il nuovo sperone, mentre quello superiore sarà potato lungo e legato sul filo per generare il nuovo capo a frutto.
Il sistema Guyot si presta a diverse varianti. Ad esempio può essere raddoppiato creando due capi a frutto legati alle due parti opposte del filo, e due speroni. In altri casi il capo a frutto è piegato ad archetto verso il basso anziché legato parallelamente al filo. Quando il capo a frutto è doppio e piegato verso il basso il sistema prende il nome di “Cappuccina”. Queste varianti derivano in genere da antiche tradizioni dettate dall’esperienza culturale di un determinato vitigno in un determinato territorio.
Il sistema Guyot è pratico e idoneo ad una viticoltura di qualità ma richiede molta manualità e poco si presta alla potatura e alla vendemmia meccanizzata. E’ diffuso quindi in zone collinari con pendenza abbastanza elevata da impedire l’accesso alle vendemmiatrici. Laddove la morfologia del terreno ed il tipo di vitigno lo consentono, si preferiscono quindi in genere i sistemi a cordone ed in particolare quello a potatura corta detto “cordone speronato”. In questo caso il fusto è più alto rispetto al sistema Guyot ed arriva fino a 1-1.2 metri. La potatura si esegue tagliando a sperone (1-2 gemme) tutti i tralci nati dal tralcio principale che rimane legato sul primo filo in modo permanente. Il tralcio principale si chiama cordone ed è generalmente lungo 1.5 metri.
Quando il cordone non è ancorato al filo più basso ma a quello più alto, ed i tralci vengano potati lunghi, piegati e legati al filo inferiore il sistema prende il nome di Sylvioz (figura 4).

Figura 4.jpg

La variante dove i capi a frutto non vengono nemmeno legati ma lasciati liberi si chiama Casarsa (figura 5).

Figura 5.jpg

In figura 6 è rappresentata una pianta di merlot appena potata a Guyot con carica del capo a frutto di 8 gemme. Si noti anche più o meno a metà tra il capo a frutto ed il terreno il punto di innesto del merlot sul piede americano.

Figura 6.JPG

Altri sistemi di allevamento diversi dalla spalliera sono diffusi in specifiche aree geografiche; tra di essi occorre menzionare le diverse forme di pergola (Trentina, Veronese, Bolognese) e il così detto alberello. La pergola è un sistema dove al posto dei filari la vite viene allevata su impalcature di legno alte anche più di 2 metri collegate da fili di acciaio, in modo che la vegetazione formi una specie di soffitto verde da cui i grappoli pendono verso il basso. Sui vari tipi di pergola la potatura è sempre lunga ed il sistema si presta essenzialmente ad ambienti pianeggianti costituiti da terreni fertili e ricchi di acqua, capaci di garantire produzioni spesso esasperate. I grappoli sono protetti dall’azione diretta del sole e questo porta talvolta a una insufficiente maturazione del frutto.
Completamente diverso il caso dell’alberello, sistema in cui la vite non è legata ad alcun sostegno, ma viene allevata in forma di veri e propri alberelli molto bassi (0.5-0.7 m) e potati con pochi speroni ed un carico molto limitato di gemme. Si tratta di un sistema adatto a zone calde e aride, dove le esigenze vegetative della vite sono mantenute minime, e la vicinanza al suolo consente un certo effetto termoregolante. In figura 7 è illustrato una bellissima vigna di zinfandel allevato ad alberello in California.

Figura 7.jpg

Direi che siamo ora in grado di stimare a occhio la produttività/ettaro teorica di una qualsiasi vigna, moltiplicando il numero di gemme contate su una pianta, per il numero di piante/ettaro, per 1.5 (una fertilità media) e per il peso medio del grappolo di ciascun vitigno (vedi qui). Siccome tale peso varia tra i 100 grammi del Pinot Nero ed i 300 del Sangiovese (ma per vitigni bianchi come il trebbiano può arrivare a 400 g), si può comunque stimare un minimo ed un massimo di produttività.
Personalmente se la produttività minima di un vigneto si colloca sopra i 100 quintali/ettaro, comincio a nutrire qualche dubbio sulla qualità del vino ottenibile, mentre se la produttività massima risulta inferiore a tale valore, le cose cominciano ad andare molto meglio!
Comunque ricordate, questo è solo l’inizio. La strada per arrivare ad una bottiglia eccellente è ancora lunga e maledettamente difficile!

Luk

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About Luca Risso

Luca non è un esperto di vino nel senso comune del termine, anzi non è affatto un esperto ma piuttosto un entusiasta del vino, un curioso di tutto ciò che è collegato con la cultura del vino del paese (Italia) e della regione (Liguria) in cui vive. La sua formazione personale lo rende particolarmente interessato agli aspetti teorici e tecnici della viticoltura e della vinificazione, al punto di piantatura una propria vigna microscopica e di produrre alcune bottiglie del Merlot. La sua esperienza è documentata nella rubrica "Vino in garage" del portale enogastronomico www.tigulliovino.it .

11 thoughts on “Come pota?

  1. wineisred

    Molto interessante e piacevole da leggere grazie e complimenti Luk

    Saluti
    Francesco

  2. lidia

    Era proprio quello che mi serviva per schiarirmi le idee.
    Ho un vigneto a spalliera (Pellaro – RC) ed è stato sempre mio padre a potarlo.
    E’ un vigneto di famiglia con una tradizione di potatura di oltre 150 anni.
    In origine si coltivava la vite bassa a terra.
    Poi negli anni ’80 è stato ripiantato in filari ma si è mantenuto il metodo di potatura tradizionale.
    Mio padre non mi ha mai veramente spiegato la tecnica di potatura perché l’aveva imparata per imitazione e pratica.
    Purtroppo la potatura finora praticata (mi sembra una specie di alberello) crea problemi di passaggio al trattore perché i tralci sporgono troppo.
    L’anno scorso ho interpellato un enologo che mi aveva suggerito di praticare il Guyot.
    Il vigneto non è grandissimo, 6000 mq circa, ma sono sola e procedo lentamente perché l’anno scorso dopo un po’ m’è venuta la tendinite e poi ci ha aiutato un amico alla buona, con risultati scarsi.
    Quest’anno ho chiamato dei potatori professionisti (3 fratelli sulla sessantina) perché da sola non ce la faccio. Anche loro usano il metodo tradizionale della vite bassa a terra.
    La tecnica è sempre la stessa, da ogni ramo si taglia il tralcio più vecchio e si lascia quello che è spuntato dopo più in basso, così si mantiene la vite bassa. Questa era anche la logica di mio padre. Dicono che bisogna lasciare poche gemme 1-2 max (3 in casi eccezionali di viti grosse e forti) perché la vite deve essere mantenuta bassa altrimenti cresce troppo verso l’alto e invecchia presto mentre i vigneti dalle nostre parti durano anche cent’anni! Non capisco nemmeno la terminologia. Loro, come pure mio padre, parlano di faina che mi sembra di capire sia il capo a frutto.
    Nel metodo tradizionale si lascia una faina più lunga se la vite è in forza e si taglia l’anno successivo. Nella stessa vite però l’anno successivo non bisogna lasciare un’altra faina (cioè un anno si e uno no) perché sennò a vite invecchia rapidamente.
    La faina poi va di preferenza interrata perché così si nutre da due lati. Secondo i potatori che ho chiamato la faina deve essere un tralcio che parte dal basso del fusto, non da un ramo che si sa di dover potare l’anno successivo.

    Lascio 1/3 del vitigno per me, così faccio la mia pratica. E’ il terzo anno che ci provo e continuo ad avere le idee confuse.
    Mi pareva che il Guyot fosse più elementare e applicabile (data la mia inesperienza), però mi sorge il dubbio che, essendo un vitigno con viti diverse (nerello calabrese, gaglioppo, malvasia, greco di bianco), non sia tanto semplice cambiare metodo. Inoltre distinguo i tipi di vite ma non so come vanno trattate singolarmente.
    Quest’anno abbiamo ricavato intorno ai 600-650 litri di vino. La misurazione è approssimativa, in base al numero di botti che si riempiono fino a che non si tocca il mosto introducendo il dito dentro dal foro alto della botte.
    Ha gradazione di 13-14 gradi. Il sapore tipico è fruttato, corposo ma molto fluido. Si sente molto nel naso. Si beve senza accorgersene e si avverte il contraccolpo dell’alcol con ritardo.
    Regge benissimo l’invecchiamento. Fino a qualche anno fa avevamo bottiglie degli anni ’50. Poi l’abbiao consumato. Adesso le più vecchie rimaste sono degli anni ’70. Diventa un po’ come il brandy e invecchiando assume un sapore marsalato.

    Non vorrei che il vigneto seccasse per colpa mia, perciò qualsiasi indicazione sarebbe più che gradita.

    Saluti,
    Lidia

  3. Luca Risso

    Cara Lidia,
    l’alberello è una ottima forma di allevamento adatta al clima calabrese e a piante molto vecchie come le tue. Io continuerei così!
    Luk

  4. Lidia

    Caro luca,

    Ti ringrazio per la conferma.
    Spero di fare qualche passo avanti quest’anno.

    Saluti, Lidia

  5. Luca Risso

    @Luca
    Io personalmente non credo all’influenza della luna. Si dice però che la potatura vada fatta con la luna calante.
    😉
    Luk

  6. Sabrina

    Gent.mo Signor Risso,
    ho trovato veramente molto chiara e dettagliata la Sua spiegazione sulla potatura del vigneto. La mia famiglia è proprietaria di un vigneto a conduzione famigliare in Piemonte (viti Neiretto) e anche se non è una vite molto rinomata siamo tutti mollto orgogliosi di poter bere un vino di nostra produzione.
    Ora che i miei genitori sono anziani sono decisa a continuare da sola la cura di questo vigneto e anche se ho visto infinite volte mio padre potare “a guyot” le chiederei alcune delucidazioni:
    1) Quante gemme è consigliabile lasciare sul “capo a frutto”? (tenendo presente che la gradine viene a trovarci molto sovente)
    2) Si lascia un solo sperone o se si vede che è debole si può optare di lasciarne due?
    RingraziandoLa in anticipo la saluto cordialmente

  7. Luca Risso Post author

    Ciao Sabrina
    Il numero di gemme dipende molto da fattori come l’età del vigneto, il tipo di portainnesto, il terreno e la sua ricchezza di nutrienti. Vigne vecchie, terreni poveri, portainnesti poco vigorosi necessitano di potature corte, anche solo 3-4 gemme. Vigne giovani, terreni ricchi e portainnesti vigorosi ovviamente di potature più lunghe. Dieci gemme è di solito un valore medio abbastanza comune; eventualmente si può ridurre un carico eccessivo di grappoli con un successivol diradamento.
    Secondo me non conviene lasciare due speroni. Non vorrei che fosse poi poco stimolata la gemma basale di ciascuno che è molto importante per il rinnovo dello sperone senza allungare troppo la pianta. Io personalmente (ma dipende dal vitigno e dal clone) preferisco tenere come riserva un pollone nato dalla corona.
    Un saluto anche a te (ci diamo del tu vero?)
    Luk

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