Tutta colpa dei Supertuscan ? Non proprio.

Alla mia domanda – secca – alla Signora Emanuela Stucchi Prinetti di Badia a Coltibuono sulle possibili responsabilità toscane dell’attuale crisi di settore, è immediatamente seguito un cenno di assenso consapevole. Sia pur semplificando molto, è in effetti difficile contestare il fatto che alle origini dell’attuale crisi di mercato, si collochi un comportamento ed una tendenza che hanno avuto inizio con i primi vini palestrati italiani, i famosi supertuscan. Non mi riferisco tanto ai grandi toscani da uve autoctone – leggi sangiovese in purezza – quanto all’avvio di una produzione di un certo tipo di vini e di comunicazione – senza dubbio di alto livello – basata su vitigni internazionali, rese minime spesso esasperate, massima cura dell’aspetto esteriore, muscoli, che ha contribuito alla creazione di un immagine nuova del vino italiano, cui ha fatto seguito il prevedibile aumento sconsiderato dei prezzi e l’avvio di quel processo di euforia prima e di “realismo” poi, che si riflette nell’attuale stagnazione del mercato.


Alla mia domanda – secca – alla Signora Emanuela Stucchi Prinetti di Badia a Coltibuono sulle possibili responsabilità toscane dell’attuale crisi di settore, è immediatamente seguito un cenno di assenso consapevole. Sia pur semplificando molto, è in effetti difficile contestare il fatto che alle origini dell’attuale crisi di mercato, si collochi un comportamento ed una tendenza che hanno avuto inizio con i primi vini palestrati italiani, i famosi supertuscan. Non mi riferisco tanto ai grandi toscani da uve autoctone – leggi sangiovese in purezza – quanto all’avvio di una produzione di un certo tipo di vini e di comunicazione – senza dubbio di alto livello – basata su vitigni internazionali, rese minime spesso esasperate, massima cura dell’aspetto esteriore, muscoli, che ha contribuito alla creazione di un immagine nuova del vino italiano, cui ha fatto seguito il prevedibile aumento sconsiderato dei prezzi e l’avvio di quel processo di euforia prima e di “realismo” poi, che si riflette nell’attuale stagnazione del mercato.

Mettere il punto qui, tuttavia, sarebbe ingiusto non solo verso l’ampia categoria dei supertuscan – che qualche lato positivo l’hanno pure avuto – ma anche verso tutti quegli agricoltori e vitivinicoltori toscani non improvvisati – e sono molti per fortuna – con una storia ed una tradizione alle spalle, convinti che rispetto del territorio, del vitigno e della qualità fossero gli unici obiettivi da perseguire con tenacia.
I supertuscan, dicevamo. Qualche pregio in effetti l’hanno avuto : per esempio, nelle loro espressioni migliori, le aziende produttrici di questo filone hanno decisamente spinto, oltre che i prezzi, anche per la ricerca e la modernizzazione enologica, per le minori rese, per il marketing e la comunicazione, ottenendo come risultato vini di maggior spessore e complessità – qualche volta anche di maggior eleganza – che hanno “sprovincializzato” la nostra immagine all’estero, ci hanno fatto guadagnare copertine patinate ed uno spazio di riguardo nelle cronache di settore. Non sembrava vero – non immaginate il numero di produttori e appasisonati che fa caso a questo genere di classifiche ! – poter annoverare tra i primi 10 vini al mondo secondo la nota classifica di Wine Spectator, alcuni vini italiani, guarda caso, toscani.

Giuseppe Toso, di profilo, agente di Badia a Coltibuono per la Liguria.

Tutto ciò ha inevitabilmente avuto un prezzo : da un lato quello direttamente caduto sulle spalle del consumatore che, dall’oggi al domani, ha cominciato a trovare sullo scaffale dell’enoteca sotto casa bottiglie che costavano anche dieci o venti volte quello che era normalmente abituato a pagare per un buon vino, dall’altro – e questo è l’aspetto più devastante – un fenomeno di imitazione massiccio e degenerativo.
Portati alla ribalta dai media, questi primi supertuscan, poi confluiti nella più ampia quanto nebulosa categoria dei “Premium Wines”, hanno ingenerato un devastante fenomeno imitativo che ha portato centinaia, se non migliaia, di produttori vecchi e nuovi a lanciarsi nella produzione di vini esasperati, mal “barricati”, per anni imbevibili e, soprattutto, dal prezzo inaccessibile per molti.

Proliferazione e degenerazione di un modello
Il fenomeno imitativo, come prevedibile, non ha dato origine a copie perfette ed anzi ha innescato un processo di produzione a catena di vini assurdi per prezzo, composizione o tipo di affinamento in rapporto al territorio e/o alle uve utilizzate, senza alcuna parvenza di bevibilità. Così, dopo esserci sciroppati i vini-legno, abbiamo tristemente superato anche la fase dei vini-muscolo. Il fenomeno non riguardava più, certo, la sola Toscana ma coinvolgeva ormai da tempo tutta la nostra penisola.

A peggiorare il quadro, la massiccia introduzione di vitigni internazionali come Cabernet Sauvignon e Merlot per citare i più utilizzati, che non hanno fatto altro che snaturare, nella maggior parte dei casi, le caratteristiche peculiari del territorio di riferimento, impoverendo e “declassando” quell’enorme patrimonio ampelografico di cui solo la nostra enoica nazione può vantare la dote.

Si sta volutamente estremizzando, è chiaro. Molti “bordolesi italiani” sono vini eccellenti ed estremamente interessanti ed equilibrati. Molti, al di là del prezzo spesso gonfiato da attributi esteriori, conservano la loro ragion d’essere nella piacevolezza che sucitano nel degustatore. Non pochi per la verità. Molti altri, ancora, hanno avuto un ruolo trainante per il rilancio enologico di alcune regioni (si pensi per esempio alla Sicilia, al Salento, al Vulture, ecc.) ma la tipicità ? La tradizione ? Il vitigno autoctono ? La piacevolezza ed il rapporto qualità prezzo ? Insomma, quella serie di fattori che incuriosisce ed induce all’acquisto ragionato ?

Emanuela Stucchi Prinetti di Badia a Coltibuono

Tutta colpa dei supertuscan ? No davvero.
Ma davvero sono i supertuscan l’innesco della crisi enologica italiana ?
L’ipotesi se pur verosimile, non può certo spiegare completamente un fenomeno di crisi così complesso.
Pur senza presunzione di completezza e precisione, tenterò almeno di analizzare altre possibili cause.
Se da un lato la difficoltà dell’uva Sangiovese e la tarda maturazione delle sue uve ha indotto i produttori toscani meno capaci ad introdurre varietà più “sicure” e precoci come il Merlot e, dall’altro, la difficile competizione con l’area di Montalcino e di Montepulciano – di produzione estremamente inferiore rispetto al Chianti ed al Chianti Classico – sono stati fattori incisivi, il contributo determinante per il verificarsi dell’attuale situazione di crisi è sicuramente venuto da certa stampa enogastronomica che, più o meno spassionatamente, ha incentivato per diversi anni la produzione di certi vini, ora spingendo e pompando vini che di pompa – magna – ne avevano già fin troppa da soli, ora celebrando e incensando, anno dopo anno, qualsiasi sciroppo di frutta, purché a base dei due magici vitigni di “Bordò”, ora appiccicando lustrini a quei templi della cucina moderna dove una bottiglia arriva a costare anche il 300% del suo prezzo e così trainando un certo tipo di consumo “oligarchico”.

Non tutto il male vien per nuocere
Forse l’antico adagio “non tutto il male vien per nuocere” fa al caso nostro.
Forse le vicende degli ultimi anni hanno avuto risvolti negativi dal lato economico ma, nel contempo, hanno portato alcuni grandi miglioramenti. Prima di tutto una maggior competenza ed un maggior livello culturale del bevitore medio. Gli innumerevoli corsi – sia pur a prezzi sempre più stratosferici ! – che per anni hanno seguito decine e decine di novelli sommelier – tanto per citare una via – non hanno fatto altro che creare e mettere sul mercato una domanda più attenta ed esigente. Domanda con la quale i produttori hanno dovuto imparare a confrontarsi. Momento di crescita per entrambe le parti quindi.

La comunicazione del vino si è estremamente evoluta – in taluni casi forse troppo – tramutandosi in un orpello spesso splendido ma superfluo e mal utilizzato. Tuttavia, meglio comunicazione che niente ! Fino a qualche anno fa un’azienda produttrice di vino non sapeva neppure cosa volesse dire “comunicazione del prodotto”. Adesso la maggior parte dei produttori – anche piccoli – partecipano a serate, fiere, manifestazioni, si muovono per l’italia, posseggono un sito web – spesso dinamico – comunicano con i loro clienti, con i fornitori, amplificano il loro raggio d’azione, imparano ad utilizzare gli strumenti messi a disposizione dalla rete e cominciano ad interessarsi, in particolare, a quello straordinario mezzo di comunicazione che è l’email, senza più delegarla al figlio come fosse un’attività di serie b.

Infine il gusto. E’ decisamente e forse definitivamente mutato – in meglio oserei dire – così come la capienza del portafogli. Oggi, finalmente, la maggior parte dei consumatori comincia a cercare nel vino fattori come l’equilibrio, la piacevolezza, la possibilità di abbinamento e – non per ultimo – un buon rapporto qualità / prezzo (moda questa – nel caso lo fosse – inossidabile).
I vini palestra si sono ingentiliti e sono divenuti più bevibili, i vini da tutti i giorni sono sempre più buoni, al supermercato cominciamo a trovare cose interessanti e i biodinamici, forti della recente storia, si propongono in modo assai più pacato, restando pur sempre un piacevolissimno fenomeno di nicchia.
Anche l’informazione enogastronomica ha oggi un occhio più attento per il rapporto qualità / prezzo e perfino quella “certa stampa” che fino a ieri elogiava le spremute di marmellata, oggi sembra un poco rinsavita e fa il possibile per salvare la faccia correggendo di gran lunga il tiro.

E’ piena crisi…benvenuta crisi !
Ebbene oggi, in piena crisi economica del vino, terminata la fase acuta degli sprint modaioli e messi via i lustrini per i bordolesi di turno siamo più ricchi ! Forse non economicamente perlando ma certamente dal punto di vista della consapevolezza. Del resto per il settore vino, essere in crisi significa che il consumatore tipo di questo prodotto ha finalmente dimostrato di avere un cervello e di non essere disposto a pagare più di tot per questo bene voluttuario. Certo, resteranno sempre bottiglie senza prezzo – che so, un Barolo di Bartolo Mascarello del ’70 per esempio – ma oggi quando si acquista al supermercato, in enoteca, al ristorante, la scelta è più meditata e ponderata. Non potremo che assistere ad un lento ma graduale assestamento della domanda e dell’offerta e, di conseguenza, ad una stabilizzazione verso il basso degli attuali prezzi. I ristoratori per conto loro, saranno più attenti con i ricarichi. Adesso il mercato e la produzione sono più in gamba e più consapevoli, andiamo avanti facendo del nostro meglio.

Le degustazioni dei vini presentati
E’ stato dunque un piacere imbattersi in quanto di più schietto e genuino può venire dal Chianti Classico, i vini di Badia a Coltibuono, che hanno veramente colpito per qualità, tipicità ed equilibrio generale su tutta la linea. Un bianco da Sauvignon e Chardonnay più che rispettabile per la linea più commerciale (Coltibuono), un Chianti Classico “base” da urlo, una Riserva, longeva, di gran classe, un Vin Santo di eccellente eleganza ed un supertuscan a base Sangiovese 100%, con un prezzo tutto sommato accessibile, che non fa che dimostrare come sia possibile proporre qualità senza montarsi la testa. Qui di seguito, le degustazioni approfondite di ciascun vino degustato nel corso della serata.

Per leggere tutto l’articolo con le degustazioni e i video :
http://www.tigulliovino.it/iniziative/iniziative_tigulliovino_45.htm

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